Monday, April 23, 2012

Ich bin ein berliner

Sono stata a Berlino già tre volte, ed ogni volta ho trovato una città diversa. Le persone invece erano le stesse, gente che puoi trovare a vagare per il village a Manhattan, nel quartiere di Haight a San Francisco, o ad Harajuku a Tokio.
Ich bin ein berliner, disse John Kennedy. Siamo tutti un po' berlinesi dentro, noi che dopo esserci stati un po' per caso ci siamo dovuti ritornare per forza praticamente subito.
E' stato difficile metabolizzarla. Uno dei motivi del lungo stop di questo blog, era che pur essendo la prossima città della lista, non sapevo da che parte farmi per raccontarvela. Fortunatamente poi ci sono tornata e ho riordinato le idee.
Berlino è letteralmente un cantiere a cielo aperto, e se confronto i tre album di foto che ho pubblicato su picasa, le differenze sono enormi. Purtroppo non si tratta di sola crescita, ma anche di evoluzione e trasformazione. Col tempo spariscono posti storici per fare posto a una germanizzazione sempre più perfettina. In ogni caso anche se ci possono provare, non riusciranno mai a renderla sterile come una Amburgo qualsiasi. Qui le persone, le idee e la storia, continuano a fare la differenza.
Le multinazionali continueranno a chiudere i Tacheles, ma gli artisti ricominceranno ad esporre da un'altra parte.
Ho provato a darmi una risposta alla domanda ma come mai tutto questo fermento culturale proprio qui? Come tutti sanno dopo la caduta del muro tanta gente è fuggita, lasciando vuote le case di mezza città. Keynes dice che quando c'è tanta offerta il prezzo crolla, e qui i prezzi anche se sono aumentati negli ultimi anni, non sono mai arrivati ai nostri livelli proibitivi. Di certo bisogna accontentarsi di un appartamento in un palazzone ex sovietico di 25 piani, ma quando l'affitto mensile non costa più di 300 euro, non ci si mette a fare i difficili. L'impiegato noioso sceglierà senz'altro un'abitazione in un posto più confortevole, magari col giardino, ma gli artisti che non hanno tempo di andare a rinchiudersi in un ufficio per otto ore al giorno, perché devono tenere la mente libera per creare, si ritroveranno tutti nelle stesse zone. Certo però di qualche cosa devono pur campare costoro.
Sorvolando sui buoni sussidi di disoccupazione che vengono pressoché concessi a chiunque ne faccia richiesta, alla domenica molti di loro si ritrovano a Mauer Park, il più grande mercatino delle pulci che io abbia mai visto. Per diventare espositori basta prenotarsi qualche giorno prima sul sito internet, e avere quattro carabattole usate da vendere. Questo posto è ciò che mi è rimasto di più impresso in tre viaggi, senza voler nulla togliere alla porta di Brandeburgo o ai vari pezzi di muro sparsi in giro.
Al secondo posto c'è la mia piazzetta preferita: Hackescker Markt. E' un posto raccolto, a pochi passi dalla sconfinata Alexanderplatz, e trovo sia molto bello andare lì per mettersi su una panchina a mangiare un panino ascoltando le storie che si raccontano gli studenti seduti accanto. 
Alla sera invece mi piace passeggiare per le strade attorno a Mehringdamm, sempre piene di baretti con i tavolini sul marciapiede, e ristoranti di qualsiasi tipo esistente al mondo.
Posso continuare a scriverne quanto mi pare, ma è inutile, Berlino non si può liquidare in un post.
A parlarne mi viene già voglia di tornarci, ma forse farei meglio a concentrarmi sui posti che non ho ancora visto.

Wednesday, April 18, 2012

Da girandolandia alle radici sul cocuzzolo

Che faccio? Ricomincio a scrivere?
In questo periodo, grazie ad una serie di avvenimenti concatenati, avrei pure il tempo di farlo.
E' trascorso poco più di un anno dall'ultimo post, eppure sembra davvero passata una vita, forse anche due. Ai tempi, lavoravo su internet, come customer care online. I lavori su internet fanno tanto fico quando ti vanti in giro, ma poi si realizza presto che da lì ad un real job c'è un abisso. La prima parte della mia vita lavorativa è stata costituita esclusivamente da lavori "reali". Quando ho iniziato a fare l'impiegata nel lontano 1998, non avevo ancora internet a casa, e fu così fino al 2002, anno in cui uno scatolone marcato IBM fece il suo ingresso trionfale dalla porta, e ne uscì come spazzatura quattro anni dopo. La seconda parte di questa vita, l'ho passata a sognare un'occupazione online. Durante la terza parte, ho lavorato online. Ora da circa un anno mi sono felicemente assestata nella quarta parte "ridatemi un lavoro vero, che è meno noioso, meno stressante, e più remunerativo".
Purtroppo, il non avere assicurato una continuatività al mio curriculum, ha implicato l'onere di dover rifare la gavetta. Poco male, con meno responsabilità si vive meglio. Nel periodo in cui ho smesso di scrivere qui sopra, ero appena stata assunta da un commercialista psicopatico, e vivevo in centro a Firenze, a due passi da ponte vecchio. Vivere nel centro di una capitale turistica sempre affollata, è bellissimo. Almeno per il primo anno. Mentre camminavo per recarmi in ufficio passavo davanti al duomo tutte le mattine, e sembrava di vivere in una cartolina. Poi che è successo? Il trentennismo borghese della peggior razza ha iniziato a farsi strada.
"Qui non si può tenere l'auto, i parcheggi sono a mezz'ora di cammino, e nella ZTL senza permesso non si può entrare nemmeno un minuto per scaricare la spesa." 
"Le sei bottiglie di acqua portate in spalla dall'altra parte del ponte, pesano sempre di più".
"Lo smog."
"Le file ordinate di giapponesi che devi scavalcare ogni volta che esci di casa".
"Gli studenti americani ubriachi che ti suonano il campanello alle due di notte".
"Lo smog."
"La sella della bicicletta rubata dopo soli tre giorni".
"La bicicletta rubata dopo una sola settimana".
"L'unica vicina iper logorroica di tutto il centro che ti fa le piazzate sulla porta".
"Il microlocale è piccolo per viverci in due".
"L'armadio del microlocale può contenere solo un quarto del vestiario di uno dei due".
"Il microlocale è nel sottotetto e d'inverno l'umidità di notte appanna lo schermo del cellulare".
"Il vecchio ascensore del palazzo pare attaccato coi denti".
A ridosso della scadenza del contratto a tempo determinato non ci ho pensato due volte. Prima, per non smentirmi mai ho prenotato un viaggio a Berlino, poi ho iniziato a mandare curriculum per posti di lavoro sul cocuzzolo.
L'uomo fortunato lavora in un'azienda del cocuzzolo da quando siamo tornati dagli Stati Uniti. Un posto bellissimo, dove fanno un sacco di feste e li portano sempre a mangiare al ristorante. 
L'uomo fortunato, quando vivevo in centro, si alzava alle sette per andare in treno lassù. 
E' successo tutto durante il mese di agosto 2011. A Firenze facevano 40 gradi, e nonostante la mia pressione bassa sono riuscita (andando anche 10 giorni a Berlino) a farmi assumere come impiegata da una tizia con evidenti problemi di menopausa assassina, e a trovare una casa in affitto abbastanza grande per due. Ero consapevole che il rapporto di lavoro non poteva durare, ma avevo bisogno della scusa per trasferirmi immediatamente sul cocuzzolo con l'aria buona, e il parcheggio sotto casa.
Lo sport preferito della mia nuova datrice di lavoro era urlare addosso agli operai immigrati, e farli lavorare anche il sabato e la domenica, senza mai un grazie. Gli italiani, guarda caso, dopo averla sopportata per qualche mese, scappavano a gambe levate. Fortunatamente in ufficio le cose andavano un po' meglio, ma quando mi è scaduto il contratto, non avevo più bisogno della scusa, e perciò mi sono detta che il mostro urlante l'avevo già sopportato abbastanza. Come se non bastasse il suo carattere, a dicembre si permise pure di cancellarmi le ferie all'ultimo minuto, e per colpa sua non sono potuta andare in Sicilia.
E così eccomi qui.
Ora le parti si sono invertite, sono io che scendo giù dal cocuzzolo in treno la mattina presto, per venire ad occupare una scrivania da segretaria in un tranquillo ufficio del centro.
Ho ancora voglia di viaggiare, anche se non come prima. Adesso a casa ci sto troppo bene.
La prossima meta? Se tutto va bene, spero Cracovia.