Wednesday, January 26, 2011

La metropoli per eccellenza: New York

Finalmente si inizia a fare sul serio.
All'inizio di Ottobre 2005, la mia amica Ali si connesse a Msn Messenger con il seguente status: "voglio andare a NY chi viene con me"? Io non ci pensai due volte, e le risposi subito "vengo io". Non avevo ancora nemmeno il passaporto, ma il 5 novembre eravamo sull'aereo che ci avrebbe portato nella grande mela. Il problema più grosso, siccome erano i giorni della maratona, fu trovare un albergo. Lei passò da un agenzia e le spararono cifre folli dai 200 euro a notte, perché il resto era tutto esaurito. Fortunatamente io in quel periodo con internet me la cavavo decisamente meglio e trovai una camera ad un prezzo molto più abbordabile su lastminute.com. Ci misi tre giorni per convincerla che non si trattava di una fregatura solo perché si trattava di una vendita su internet. Come sono cambiati i tempi in soli sei anni! Fu così che con il nostro inglese scolastico ci ritrovammo catapultate in quel mare di luci, suoni e odori nuovi, e dopo il frastornamento iniziale ci rendemmo subito conto di non trovarci in un posto qualunque. New York era il posto dove le cose succedevano, dove viveva gente proveniente da qualsiasi parte del mondo. In quei giorni feci il primo esperimento di live blogging, poiché in albergo c'era il wireless gratuito, cosa che in Italia era ancora fantascienza. In uno slancio di entusiasmo poi scrissi anche un post dall'aereo, perché la Lufthansa in quel periodo forniva uno dei primi servizi wi-fi on board. Stavo pensando che in effetti è un peccato l'aver chiuso quel blog dove era pubblicata tutta questa roba. Pertanto, per quei 2-3 pazzi a cui può interessare, ho deciso di incollare qui sotto i post di quel viaggio. Auguri.


domenica, 06 novembre 2005
Non esistono parole. Troverò le parole. 
Ho portato il portatile. Principalmente per emergenze lavorative, poi per scaricarci le foto che nella mia scheda altrimenti ce ne stanno solo ottanta e poi perchè sull'aereo doveva esserci adsl flat e volevo scrivere il post più "alto" del mondo. Alla fine in aereo l'adsl non funzionava (spero ancora nel volo di ritorno), però ho felicemente scoperto che in hotel c'è la connessione wi-fi superveloce totally free. Qui a New York stanno avanti, non ci sono storie. Ho deciso che sfrutterò questa connessione per raccontarvi la giornata prima di andare a dormire.  Così risparmio soldi di telefonate e tempo di e-mail alle amicizie varie.
L'aeroporto di Genova è minuscolo, la città e il porto sono stupendi. Il volo fino a Monaco con l'aereo a elica un po' meno stupendo. I quaranta minuti di tempo scarsi tra un volo ancora meno (dove cazz'è il gate, oddio il passaporto, ho fame, ti sembra il momento?, un altro controllo del passaporto, la perquisizione,  lo zaino perchè lo ripassano, corri corri che è tardi). In aereo, durante le nove ore di volo, oltre ad aver mangiato come un tacchino ripieno, ho trovato il tempo per vedermi Pulp fiction, leggermi tutta la guida intera di new york, guardare una puntata della Sirenetta in inglese, e ascoltare il canale tre di Lufthansa radio dove il dj mette su Mozart, Bach e Beethoven spiegando i brani uno per uno e lodandoli che neanche fossero l'ultima boy band del momento. Quel libro? Non ho avuto il coraggio di chiudere il cerchio. E poi l'atterraggio. Al JFK airport. Nove terminal, da solo è grande come il paese in cui abito. Incuranti delle raccomandazioni di chi ci ha indirizzato verso i sessanta dollari di taxi, sprezzanti del pericolo e temerarie come non mai, ci siamo avventurate sul trenino da cinque dollari che porta alla metropolitana. Erano le otto di sera ora locale, da quelle parti non si vedeva un mezzo turista. Sembrava di essere sul set di Sliding doors. Tutto tranquillo, comunque. Ma il momento indescrivibile è quando riemergi dal sottosuolo. Quando sali gli ultimi gradini della fermata della metro in pieno centro di Manhattan. Mi sono sentita una formichina, giuro. Subito dopo ho avuto la sensazione di assomigliare a una bambina che spalanca gli occhioni e a bocca aperta si guarda intorno come la prima volta che vede il mare. Ovunque a me solo grattacieli sopra i quaranta piani. Di fronte c'era Macy's il megastore di vestiti firmati più grande del mondo. Più grande di Harrod's a Londra. Alle mie spalle l'Empire state building con la sua punta sbrilluccicante (esiste sbrilluccicante? no? prendetelo come un neologismo, che rende meglio l'idea). All'angolo tra la 34 e la 8 il nostro albergo. Camera al 23esimo piano. La skyline. Quando mi sono affacciata alla finesta le gambe andavano per i fatti loro. Qui è tutto oversize. Anche i letti, due letti da una piazza e mezzo. Per ora ci stiamo larghe, speriamo comunque di mantenere la nostra linea. Se facciamo come stasera sarà dura. Appena arrivate, abbiamo subito inaugurato il mac donald qui di fronte con un cheeseburger. Ora qui sono le 23.15 (ora italiana le 5.15) e me ne vado a dormire, la stanchezza del viaggio inizia a farsi sentire.

Lunedì, 07 Novembre 2005
Questa cosa del fuso orario è allucinante. Sono le sei del mattino, fuori è buio pesto e per la mia testa è mezzogiorno. Alinixa ronfa di brutto, beata lei. Io non ci riesco. Qua sotto, nonostante l'orario, c'è un casino pazzesco. Immaginatevi che razza di traffico c'è se dal ventitreesimo piano sento le macchine come se fossi sul marciapiede. Ieri sera sono rimasta cinque minuti a guardare le auto che passavano. Per la metà sono composte da taxi gialli, uguali a quelli di De Niro in "Taxi driver", poi ci sono le macchinone che qui si vedono solo nei film, e altre che in italia non sono ancora uscite. New York è così, ti imbamboli a guardare le cose, finchè una folata di vento che neanche la bora di Trieste, ti fa indietreggiare nonostante i diciotto chili di valigia che dovrebbero tenerti ferma. Dicevo, è difficile dormire. La polizia quando passa con la sirena accesa sveglierebbe anche un morto. Ci credo che poi qua ai poliziotti tocca fare degli inseguimenti infiniti, avvisano i criminali che stanno arrivando già otto isolati prima. La popolazione qui è strana. In fila al jfk per il controllo del passaporto ho visto una grande varietà di razze tutte insieme, che non avrei mai pensato di vedere accostate. Gli italiani casinari, il lord inglese col cappello, la coppia tedesca impassibile e superorganizzata, la donna indiana con la tunica, i giapponesi supertecnologici, i rapper neri. Questi ultimi costituiscono almeno la metà della popolazione Newyorkese. O almeno, dopo le otto di sera costituiscono la maggioranza di chi popola le strade. Il mio pancino sta reclamando il pranzo e gli devo spiegare che farà colazione solo fra due ore. Mi rimetto a dormire che è meglio, oltretutto ho anche appena ricevuto una brutta notizia. L'euro è appena crollato rispetto al dollaro. Che tempismo. 

martedì, 09 novembre 2005
Qui sono le tre e mezza. Scrivere col buio è più suggestivo. Vi racconto la giornata di ieri, se riesco a farci stare tutto. Tanto la mia compagna di stanza dorme beata, abituata al chiasso del traffico di Genova e non ci sente. Alle otto e mezza colazione da Starbucks, nell'isolato accanto. Mega muffin e mega cappuccino versato nel bicchiere di carta di una coca media, con tanto di cannuccia, così te lo puoi portare in strada mentre ti fiondi in ufficio. Pochissimi si sono seduti a mangiare. Gli altri andavano tutti di corsa, in giacca, cravatta e valigetta, in pieno dandy style. Quando siamo uscite, passeggiando sulla trentaquattresima abbiamo notato una curiosa aiuola decorata coi cavolfiori. Che tipi strani questi americani. Approfittando dell'orario favorevole ci siamo dirette all'Empire state building. Andando più tardi si rischia di fare ore di fila. L'ascensore ti porta al piano 86 di 101, oltre dopo l'11 settembre non è più possibile salire. L'impatto con l'esterno, una volta in cima, è assurdo. Se da sotto mi ero sentita una formichina, da sopra mi sono sentita un atomo. Fa freddissimo lassù, le folate di vento ti piegano in due, ma sei talmente estasiato che non te ne accorgi. Sembra di guardare un plastico, pensi che sia impossibile che tutto ciò sia reale. Quando esci passi attraverso a un negozio carino di souvenir, coi prezzi gentilmente raddoppiati per l'occasione. Che carini, ti fanno anche la foto di fianco a una gigantografia del grattacielo, e poi pretendono di rivendertela per soli quindici dollari. A mezzogiorno in punto siamo andate a pranzo in un posto tipico. Uno di quei ristoranti tipo Arnold di Happy Days, con le due panche poste una di fronte all'altra e il tavolo in mezzo. Di quelli che ti aspetti che da un momento all'altro qualcuno si alzi dicendo: questa è una rapina, fuori tutti i portafogli. Non è successo, però appena uscite abbiamo assistito a un vero inseguimento della polizia. La sirena assordante ha preceduto un taxi giallo guidato da un pakistano che ha bruciato tutti i rossi, e dietro la volante che faceva lo slalom in mezzo alle macchine. Noi due a bocca aperta, “ma come, non si ferma?”, per il resto della popolazione era tutto normale. Poco lontano c'è Macy's il megastore diviso in nove piani di almeno tremila metri quadri l'uno. Calvin klein, Guess, Ralph Lauren, Tommy Hilfiger, North Face, Lacoste, sono solo alcune delle marche che si possono trovare all'interno. I prezzi sono stracciatissimi in confronto all'europa, e inoltre i turisti possono fare la tessera per ottenere un ulteriore sconto dell'11%. La mia carta di credito è stata ricoverata in ospedale, non le era mai toccato di lavorare così tanto. Prenoto un posto accanto a lei per quando leggerò l'estratto conto del mese di novembre. Siamo uscite di lì dopo tre ore di corsa avanti e indietro per tutti e nove i piani. A noi la maratona ci fa un baffo. Dopo una piccola sosta in albergo per appoggiare i sacchetti ci siamo dirette a Time Square. Per rendervi l'idea di questo posto dovete, se possibile, immaginare Piccadilly Circus di Londra, moltiplicato per mille. Facciamo duemila. Nel palazzo di vetro di Mtv stavano registrando una puntata di Trl. Sotto le finestre, le ragazzine in visibilio urlavano per un rapper a noi sconosciuto che nemmeno mi ricordo come si chiama. Dopo cinque minuti è uscito fuori, con dieci guardie del corpo, un ragazzetto nero che non avrà avuto nemmeno diciott'anni, e se ne è andato salendo sopra una ferrari nera di cui io non avevo mai visto il modello nemmeno in fotografia. Lì accanto sorge il maestoso palazzo della Paramount pictures. Di fronte il virgin megastore. Girare per la sezione cd rock da veramente soddisfazione. Tutte le band che in Italia non conosce quasi nessuno, lì hanno il posto d'onore. La sezione indie rock mi ha fatto pensare alla sua omonima da Nannucci a Bologna. Ah, a proposito. Qua Genova non la conoscono, però Bologna si. Non so se sia grazie all'ultimo libro di John Grisham, o per cosa, però è una soddisfazione vedere facce che annuiscono quando gli rispondi alla domanda “Italianeee? Where do you come from??” I commercianti qua parlano almeno diciotto lingue oh. Quando siamo uscite dalla Virgin iniziava a fare buio e ci siamo dirette all'hotel passeggiando lungo la quinta avenue. Qualcuno che sa, mi spieghi perchè da alcuni tombini di New York esce veramente il fumo bianco come nei fim. Tra i veicoli transitati ieri segnalo, lo scuolabus giallo, la camionetta coi pompieri ancorati sopra, il furgoncino bianco fedex identico a quelli di cast away, la limousine bianca lunga come tre macchine normali, e il camioncino bianco dei gelati con dipinta sopra la scritta God bless America. Gli americani sono più nazionalisti dei francesi, la loro bandiera sta veramente ovunque. Se le contavo tutte, quelle che ho visto in giro oggi arrivavo probabilmente a milletrecentocinquanta. Abbiamo cenato alle otto. Alle nove sono crollata mentre scaricavo un centinaio di foto sul pc. E adesso che ci penso, torno a dormire.

mercoledì, 09 novembre 2005
Stanotte ho dormito. Sono ben le sette del mattino! Vi racconterò la giornata di ieri. 
Alla fine il consiglio della hostess è stato il più prezioso di tutti. "Quando andate alla statua della libertà, cercate di arrivare lì per le otto, il battello si paga ma i primi cento salgono gratis sulla statua. Se non fate in tempo dovete prenotare la salita per un altro giorno, e ci sono code interminabili." Arrivando presto non abbiamo fatto file, a new york essere mattinieri è importante. Per vedere qualsiasi cosa ad orari non tendenti all'alba, ci sono file paragonabili solo a quella per le montagne russe di Gardaland una domenica d'agosto. Per fortuna col fuso non abbiamo problemi a svegliarci presto. Ma torniamo alla statua. Il molo da dove partono i battelli è popolato di gabbiani Jonathan che seguono le navi piroettando nel cielo. In dieci minuti arriva alla statua, se state nella parte posteriore potrete scattare foto meravigliose alla skyline di New York. L'isola della statua è uno dei posti più sicuri al mondo. Si passa un controllo metal detector con crismi aeroportuali, prima di salire sul battello e un altro prima di salire sulla terrazza. Quest'ultimo ha una tecnologia da base spaziale, mai visto niente di simile. Gli zaini bisogna lasciarli all'entrata, nell'apposito armadietto che ti riconosce l'impronta digitale quando vai a ritirare. Da matti. La statua è basata su intelaiatura simile alla torre Eiffel, e infatti è stata costruita dallo stesso ingegnere. E' alta 46 metri e rispetto a tutti i mega grattacieli ai quali siamo ormai abituate, ci sembra quasi piccola. Dopo siamo passate attraverso la famosa Wall street, la via più popolata di limousine. Abbiamo pranzato in una specie di mensa, tipo la nostra camst, dove vicino c'erano tutti i signori impomatati e incravattati nelle loro pause pranzo da ufficio; mamma mia quanto corrono! Poi abbiamo proseguito a piedi verso il ponte di Brooklin, passando in una strada secondaria ci siamo imbattute nello studio di Santiago Calatrava, uno degli architetti più famosi del mondo. Quello che ha progettato tutta la parte nuova di Barcellona per capirci. All'imbocco del ponte, c'erano un auto dell'FBI, tre auto della polizia, i pompieri, e ci hanno detto "today the bridge is close for safety". Se facciamo in tempo ci torniamo. Chissà che cosa era successo. Proseguendo lungo Park Row, siamo entrate nel negozio di cd più economico di ny: JR. Ce ne sono un'infinità. Mi sono comprata il best of di Morrissey, 21 canzoni bellissime a sei dollari e cinquanta. Minima spesa massima resa. Uscendo da lì ci si imbatte nella chiesa di Saint Paul, e dietro di essa c'è Ground Zero. La chiesa fu un punto di ritrovo in quei giorni tristi di settembre 2001, per chi voleva pregare per i propri cari dispersi. E' ancora tappezzata di foto e di messaggi, stare lì dentro mette una pelle d'oca che non vi dico. Uscendo dal retro si vede il mega cratere. Un totale di metri quadrati di  nulla in mezzo a decine di grattacieli. E' incredibile come siano rimasti in piedi tutti gli altri. Camminando a piedi lungo la Brodway si arriva a Soho, il quartiere dove mi piacerebbe vivere. E' l'unico posto dove non ci sono grattacieli, ci sono tantissime gallerie d'arte, il mega apple store, e un sacco di negozi uno più sciccoso dell'altro. Tra questi c'è n'è uno di un artista giapponese, che disegna scarpe e magliette e le vende solo a ny, tokio e londra. Se in google immagini digitate "Bape shoes" o "Bape shirt", vedrete quanto sono carine. Purtroppo sono talmente costose che mi sono accontentata del portachiavi con la scarpina :P  Camminando camminando, a un certo punto dico "mamma mia quanti cinesi che ci sono da queste parti! ma che è?" solo cinque minuti dopo ho realizzato.... Chinatown. Senza dubbio è un quartiere folkloristico. Little italy invece è quasi scomparsa, se la stanno assorbendo i cinesi, tutto quello che è rimasto è concentrato in una strada sola. A cena siamo andate in un locale con gli sgabelli alti e gli schermi piatti, sulla trentatreesima. Quando siamo entrate, c'era una canzone degli Interpol. Mentre mangiavamo io e Alinixa, parlavamo di uomini, per la serie tanto qui non ci capisce nessuno, quando a un certo punto il tale del tavolo accanto si volta e fa: where are you from? Italy! Piacere, Giovanni. Ma che vergogna.... Per fortuna se ne è andato quasi subito. Anche noi, alle dieci siamo tornate stanche in albergo, e abbiamo scaricato e ammirato la nostra opera di fotografe. Anche ieri sessanta foto io e settanta lei. Mi basterà l'hard disk?

giovedì, 10 novembre 2005
Ieri siamo andate al Metropolitan museum. Per arrivarci, siamo passate in mezzo a Park Avenue, una delle strade rese famose dal telefim sex & the city. Qua la gente impazzisce per quella serie. Il quartiere è una roba tipo Parioli elevato al quadrato. Ci sono i palazzi sciccosi che di sotto all'entrata tappetosa e moquettata e lampadariocristallizzata  hanno il portiere in uniforme col cappello e i galloni, che ti apre la porta della limousine per farti scendere. Il museo è immenso, che novità. Per andare in giro invece del biglietto ti danno una specie di spilletta con la M di metropolitan, da attaccare ai vestiti. La sezione egizia è seconda al mondo solo a quella del cairo, dentro c'è perfino un tempio smontato in egitto e ricostruito là dentro. Nella sezione americana di artistico non c'è praticamente niente, sono tutti interni di case di inizio secolo ricostruiti fedelmente. Sembra la fiera del mobile in stile liberty. Nella sezione delle armi ci sono le armature dei cavalieri a cavallo, le spade come quella di kill bill, le pistole, e le spade come quella di lady oscar. Una aveva il manico completamente ricoperto di diamanti. La parte più bella è quella dedicata agli impressionisti. Come per la letteratura ho una particolare inclinazione per l'arte francese (cezanne, chagall, degas, serat, monet, gauguin, renoir). Abbiamo inoltre avuto la fortuna di capitare in un periodo in cui c'è una mostra temporanea di Van Gogh. Non è grande come quella di Amsterdam, però ci sono parecchi quadri che là mancavano. L'architetto Calatrava qui ha una sezione tutta sua, con le sculture e i progetti dei ponti. C'è anche il plastico della nuova torre di Ground Zero, lui deve costruire una super pensilina per la metropolitana che passa sotto. Quando entri lì per tutto il tempo hai in testa la parola genio. Quando siamo uscite abbiamo camminato attraverso Central Park. C'è bisogno che vi dica quanto è sconfinato? Dentro c'è anche la pista del pattinaggio sul ghiaccio. Le paperelle se ne stanno negli altri laghetti invece. In fondo inizia la 5 avenue di lusso. Qui le super marche, come Gucci, Prada, Vuitton, non si accontentano del mega negozio come a Milano. Qui ognuna ha il suo grattacielo. Pazzesco. Pensate a quanti milioni di dollari ci possono essere dentro quei palazzi. Pensate al palazzo di Cartier. Il Disney store è in questa strada, se entrate vi saluteranno Pluto e Cip & Ciop. Ah già dimenticavo, qua è pieno di scoiattoli, ce ne sono in tutti i parchi e non scappano impauriti se ci si ferma a guardarli. Vederli mangiare la noce con le zampine è come assistere a un miracolo della natura. Proseguendo a piedi siamo arrivate al Rockfeller Center, un complesso di grattacieli costruiti dall'omonimo miliardario. Nella plaza al centro c'è un altra pista di pattinaggio con la musica e le lucette, è quella che si vede nel film Autumn in New York. Lì dietro c'è la casa d'aste Christie's, sulle vetrine ci sono le foto di alcuni quadri che vendono, compreso Andy Warhol. Alla sera dovevamo andare in un localino a Soho ma la pioggia ci ha fatto desistere e siamo entrate nel vicino Hard Rock Cafè. Quello di Londra in confronto è il bar dove mio nonno andava a giocare a bocce. Non mi aspettavo tutte quelle cose. Questo è un vero e proprio museo del rock, con almeno trecento chitarre, la batteria di ringo starr, gli stivali di Springsteen, il vestito di Elvis, e migliaia di altre cose. Vale la pena farci un giro dentro, anche senza consumare, i camerieri non ti rompono le scatole. Quando siamo uscite sul marciapiede lì vicino, c'erano quattro ragazzini rapper con la loro radio che facevano una dimostrazione. Dovevate vedere che capriole, che salti mortali. Troppo bravi. Dopo siamo tornate a dormire, convinte che la giornata fosse finita. Invece no. Alle quattro del mattino mentre sostavamo nel mondo dei sogni, una sirena impazzita inizia a suonare fortissimo. Avevo talmente sonno che mi sono girata dall'altra parte. Poi dopo due minuti Ali si è alzata dicendo, "non è che è l'allarme antiincendio?" Abbiamo aperto la porta e la scritta rossa FIRE lampeggiava nel corridoio. Ho battuto il record mondiale di mivestoveloce. Ci siamo letteralmente randellate giù per i ventitrè piani di scale, con un totale di persone al seguito. Mi è sembrato di essere veramente in un film. Il vano scale mai usato da nessuno è grigio e polveroso. La fine non arrivava mai. Nella hall c'erano quindici pompieri, in assetto da guerra. Dalla reception il tipo urlava al microfono di stare calmi che avevano già individuato il piano che aveva fatto scattare l'allarme. Il nostro. Accidenti che colpo. I pompieri sono saliti di corsa, ma sono tornati giù prestissimo. Pare che sia stato un falso allarme, non ho capito bene. La hall era piena di persone spettinate in pigiama, discretamente incavolate. Nel mezzo di questa situazione ci siamo sedute al bar, ed è arrivato subito un coreano pazzo coi capelli ricci a fare conversazione. "I'm Jin ho, from Corea!" "Where are you from?" "Italia?" "My name is Gino, i'm looking for my Gina" Immaginatevi come posso averlo guardato alle quattro del mattino spettinata dopo l'allarme incendio. Se ne è risalito immediatamente in camera a testa bassa, tzè.

venerdì, 11 novembre 2005
Mi sto abituando al fuso. E' l'una e mezza di notte e non sto crollando dal sonno. Ciò significa che quando tornerò sarò in stato confusionale per almeno tre giorni. Stamattina ho vissuto una piccola delusione. Siamo andate alla factory di Andy Warhol, e al posto della suddetta, dopo dodici giri in tondo ci abbiamo trovato un cumulo di macerie e la scritta "here was the last factory of Andy Warhol". Non ci potevo credere. Gli americani sono pazzi, sarebbe come se gli olandesi demolissero la casa di van gogh per costruire un grattacielo. Dopo siamo andate al Moma (museum of modern art). Spettacolare. Sei piani di meraviglie. Specialmente il quarto e il quinto, dove si trovano dalì, picasso, mirò, kandinskj, mondrian. Bisognerebbe avere due giorni interi di tempo per vedere a pieno tutto. Uscendo da lì abbiamo visto una ressa incredibile dentro al negozio di H & M. Ma una roba da non credere, pare che Stella Mc Cartney svendesse la propria collezione. Dovevate vedere un centinaio di  donne fare a botte per una gonna o una giacca. Arraffavano tutte inferocite qualsiasi indumento portabile che capitasse loro a tiro, alcune erano arrivate addirittura con la valigia da riempire. Lì fuori a documentare il tutto c'era anche la televisione. Solo a New York ci si può rendere conto della definizione di shopping selvaggio. Anche all'Apple store di Soho c'era un gran caos. Ipod nani dappertutto. Ho preso una custodia che mi hanno chiesto, chiudendomi gli occhi, che era meglio. E' troppo carino però. La giornata è proseguita al Greenwich village. Carina la Washington plaza, dove non si capisce perchè, c'è anche un monumento a Garibaldi. Poco più in là, davanti alla New York university, c'era un picchetto di persone che giravano in tondo coi cartelli e cantavano. Questo quartiere ha un sacco di negozietti con prezzi abbordabili, è uno dei pochi. Leggermente più a sud lungo Mulberry street c'è quello che resta di little italy. Praticamente sono tutti ristoranti, la zona è stata quasi interamente assorbita dai cinesi. Questa sera incredibile ma vero siamo uscite. Dopo una buona cena al ristorante messicano siamo state all'Apt sulla tredicesima. Trattasi di un american lounge bar, con una bella musica di sottofondo. Brent il barista dopo averci detto "buongiorno principessa" come Benigni in "la vita è bella" ci ha offerto da bere. All'inizio non c'era tanta gente ma poi si è popolato di persone di tutti i tipi. Noi eravamo sedute al bancone. Ad un certo punto si sono seduti a fianco tre messicani. Uno fa l'avvocato a new york e si sente fico anche se poverino non si poteva affrontare proprio.
"where are you from?"
"Italy"
"oh very nice, what's your job?"
"I'm an accountant, and she is a lawyer"
"Me too. I'm a lawyer!"
"I like mexican kitchen!!
"you like mexican kisses?!? oooh yeahh!"
"sèèè buonanotte! KITCHEEEEEN!"
"aaaah"
"eh! bye bye!"
Gli stranieri battono gli italiani negli abbordaggi maldestri dieci a uno.

sabato, 12 novembre 2005
Stamattina siamo andate in metropolitana fino a Brooklyn e poi siamo tornate indietro a piedi percorrendo l'omonimo famosissimo ponte. Faceva freddissimo oggi, 40 gradi fahrenheit, ovvero circa 4 gradi centigradi. Il freddo pungente ti cambiava colore alle orecchie. A distanza di un km c'è il ponte di Manhattan. La cosa buffa è che vai sul ponte di Brooklyn e siccome ci sei sopra e non riesci a fotografarlo, fai le foto a quello di fronte. Andare sull'altro sarebbe stata una mossa troppo intelligente, che se un giorno tornerò qui, dovrò mettere in atto. Al termine della passeggiata, proseguendo sulla destra siamo passate in mezzo ai palazzi del potere: il municipio, la corte suprema degli stati uniti, il tribunale. Mi sono fermata in una pharmacy a comprare le cinnamon. Qui vendono le big red, quelle che Max degli Offlaga lancia sempre dal palco. Attenzione, la pharmacy non è la farmacia ma il supermercato. E' una delle tre parole indispensabili, diverse dall'inglese all'americano. Le altre due sono: il bagno che non si dice toilet ma restroom e il conto, che non si dice bill ma check. Ora siete pronti per andare al ristorante. Poco più avanti ci siamo ritrovate sulla destra Union Square, e sulla sinistra un negozio di scarpe che vedeva tutto for sale. La piazza non l'abbiamo vista. Poi abbiamo attraversato il village lungo Lafayette street. Un negozio più bello dell'altro, uno attaccato all'altro. Non sono i soliti negozi omologati per turisti, alcuni vendono cose usate, tutte ricercate e mai banali. Ci abbiamo messo tre ore a percorrere quella via. Un uomo poco shopping addicted ci avrebbe messo cinque minuti. Alle due abbiamo pranzato da diner, un posto in cui ci lavora un cameriere che lo chiamano sorriso & simpatia. Mai visto uno più scontroso nei confronti della clientela. Ah già perchè qui c'è da sottolineare un aspetto. Se avete bisogno di qualsiasi cosa e trovate qualcuno che vi risponde con gentilezza, si tratta sicuramente di un immigrato. Se vi rispondono con un grugnito, è sicuramente qualcuno del posto. I newyorkesi sembrano allergici alle richieste di informazioni. Dopo pranzo abbiamo continuato a passeggiare fino alle sei del pomeriggio, ora in cui siamo tornate in albergo. Io e Alinixa abbiamo convenuto che l'attività più bella che si può fare a ny è camminare per la strada e guardare le persone. Potrei farlo per due mesi consecutivi. La sensazione di società plurirazziale che ho avuto in aereoporto si è estesa a tutta la città. Mentre nella prima locazione poteva essere anche una cosa normale, poi è diventata stupefacente. A parte la varietà di esseri umani, la cosa strana sono le coppie. Vedi cinesi con messicani, thailandesi con irlandesi, neri con vietnamiti. Tutti perfettamente integrati nella società. Cosa che da noi non avviene assolutamente. Anche se c'è da dire che il tasso di criminalità da queste parti è assurdo. Ieri abbiamo visto appesa una taglia. Diceva che la polizia offriva dodicimila dollari a chi forniva indicazioni per trovare chi aveva ucciso l'uomo nella foto e poi lo aveva fatto a pezzi e chiuso in una valigia. Credevo che certe cose succedevano solo nei film, da quando sono qua ho capito che solo le invasioni degli extraterrestri e king kong e i supereroi sono cose inventate, tutto il resto purtroppo in questa apocalittica città non meraviglia più nessuno. Come stasera quando uscivamo dall'albergo e ci sono sfrecciate davanti quindici macchine della polizia a sirene spiegate, non abbiamo visto nessuno che avesse nemmeno girato lo sguardo per vedere dove andavano. Poi con la metro siamo tornate a downtown, la parte sud, dove ci sono i locali. Mia cugina mi aveva consigliato di andare alla Knitting Factory, e siccome comprando il giornale degli spettacoli che si chiama "time out" avevamo letto che stasera c'era un gruppone indie (gli okkervil river) avevamo deciso di andare. In alternativa a Time Out, se vi interessano solo i concerti. vi segnalo l'ottimo ohmyrockness.com. Quando siamo arrivate alla Knitting e la cassiera ci ha detto "is sold out" le avrei sputato in un occhio(oh, come mi sono già perfettamente integrata). A nulla è servito dire "I come from italy". Per fortuna al piano di sotto dello stesso locale c'erano altri concerti, e ci siamo viste i Dollyrout e i The Dwarves. Non erano male, e poi per consolarmi mi sono comprata le spillette di tutti e tre i gruppi. Il locale è molto bello, tutta la scena musicale emergente americana passa di qui. La filosofia interna è la stessa del Covo. Per un attimo tra tutte quelle magliette a righe mi sono quasi sentita a casa.

domenica, 13 novembre 2005
Ieri mattina siamo andate al Guggenheim museum. E' il meno importante dei tre che abbiamo visto, però è composto da una struttura architettonica notevole. Oltre alla collezione permanente con opere di Kandinskj e Chagall c'era una mostra temporanea sull'arte russa. Lenin era raffigurato in almeno quattro quadri. Uscendo da lì abbiamo attraversato la parte a nord di Central Park. Scenari suggestivi da autumn in New York e paperelle sguazzanti nel grande lago facevano da cornice alle centinaia di persone che correvano intorno al parco. Poco lontano c'è la Columbia University, all'interno c'è un giardino molto grande che si può visitare. Il palazzo della biblioteca assomiglia ad un tempio romano con le colonne. Proseguendo lungo Amsterdam avenue ci siamo avventurate verso Harlem, il quartiere dei neri. E' molto caratteristico, le case sono basse e la gente sosta tranquilla seduta sui gradini all'ingresso a fare delle chiacchiere, come nei film. Ci sono un sacco di chiese di tutti i tipi. Quando abbiamo ripreso la metro per tornare giù, non abbiamo calcolato che quella linea parte dal Bronx. Confesso di avere avuto veramente paura appena salite. A parte che eravamo le uniche bianche, ma qui è normale, c'erano certe facce incarognite, che non ti facevano vedere l'ora di scendere. Al pomeriggio siamo tornate a vedere i negozi più belli e abbordabili: vicino a union square consiglio forever 21 e basement, a soho consiglio rat bastard e michael k. Alla sera siamo tornate nuovamente a Soho. L'abbiamo eletto “zona più bella di ny”, in una settimana ci siamo andate ben 4 volte! Abbiamo cenato in un ristorante italiano, il corallo. L'astinenza di pasta iniziava a farsi sentire e così abbiamo rischiato e fortunatamente ci è andata bene. Le penne alle melanzane erano perfettamente al dente. Quando ho ordinato una birra il cameriere mi ha chiesto un documento, non credeva che avessi più di ventuno anni, l'età consentita per bere alcool. Gli ho detto scocciata che “I'm 26” e me l'ha portata. Ad Alinixa, che ha due anni in meno di me, invece del documento le ha chiesto se voleva anche del vino. Robe da matti. Al ritorno abbiamo anche rischiato di farcela a piedi. Questa città ha migliaia di Taxi, ma al sabato sera è quasi impossibile trovarne uno libero. Ci abbiamo messo un'ora, vagando a piedi nella notte buia. Impossibile annoiarsi qua eh! Ora sto facendo la valigia, fra tre ore parte la navetta che va all'aeroporto. E ' piena stipata, però sono stata brava, tutti quelli che conosco che sono venuti qua mi hanno detto che al ritorno hanno dovuto comprare una valigia nuova per metterci gli acquisti da shopping. Metto dentro anche il portatile e vado a fare l'ultimo giro. Bye bye! Ora sono all'aeroporto di Newark, anche qui c'è la connessione wi-fi superveloce. Ne ho approfittato per uploadare le foto su msn. Per chi me le aveva chieste, le trovate a questo link, cliccando nella sezione foto.  Per arrivare qui dovevamo prendere la navetta, ma non si decideva a passare. Alla fine abbiamo preso il taxi insieme ad un israeliano di Tel Aviv, per dividere la spesa in tre. Parlava un po' di italiano. Durante il viaggio ci ha raccontato che fa il biopsicologo, e che è abituato alle esplosioni che ci sono nella sua città, anche se ogni tanto ha paura per i suoi bambini. Ny è bella anche per questo, tutti ti parlano e ti raccontano la propria vita. Tra mezz'ora c'è l'imbarco. Qui chiudo, ora vado a fare un giretto nel duty free. Mi sono rimasti ben tre dollari e mezzo in contanti. A presto!

lunedì, 14 novembre 2005
Ore 03.15 italiane, in un punto sperduto sopra l'oceano Atlantico.
Non ci si può credere.
La tecnologia mi stupisce sempre.
Sono qui, sul volo Lufthansa Lh 403 da New York a Francoforte, a diecimila metri di altezza e ben novecento km orari di velocità, e la connessione wi fi mi permette di postare e addirittura di parlare con gli amici in msn. Dove arriveremo non si sa.
Signore e signori, ecco a voi il post più alto del mondo!
A bordo di una compagnia tedesca non poteva mancare un'ottima birra. Io e Alinixa abbiamo appena brindato con la Warsteiner, sopra c'è scritto che fa undici gradi. Ci hanno appena portato la cena, dopo spero di riuscire a prendere sonno, che nell'ultima settimana ho dormito in media solo quattro ore per notte. Prima di partire avevo detto che non vi pensavo e invece vi ho postato l'intero diario di viaggio. Non sono affidabile. Mi rifarò questa settimana in cui andrò a letto presto almeno fino a venerdì. Buonanotte a tutti!
THE END

Che tenerezza :)

5 comments:

  1. hai fatto benissimo invece ad incollare i post! me li leggo con calma appena ho un attimo di tempo: ai tempi ancora non leggevo il tuo vecchio blog...

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  2. Grazie Angelo:)
    quelli che mi piacciono di più sono quelli sul Giappone, non vedo l'ora di postarli!

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  3. Non male l'idea di fare un "Kay's blog greatest hits" a tema!

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  4. ma sì dai, mi son detta perché no? :)

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  5. Questi post sono bellissimi! mi è venuta una voglia di volare a NY che non ti dico!

    Questo blog è pericolosissimo, sappilo.

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